Giacomo I,
«un re incline a interessi filosofici e teologici» nel quale «si incarna
tutta la lacerazione di un’epoca», era un «infaticabile lettore ed autore
di libri, amava i dialoghi colti e intelligenti e le formulazioni
ingegnose, e fu un celebre scrittore e polemista in un’epoca di
controversie e di dispute teologiche. Nel 1597 scrisse una
Demonologia in cui il problema dell’apparizione degli spettri
viene trattato nello stesso modo in cui ne tratta Shakespeare in Amleto.»
«J. Dover Wilson, What happens in Hamlet
(Cambridge 1935), ci informa, con un’esposizione particolarmente
chiara, sulle tre differenti concezioni degli spiriti e delle loro
apparizioni. C’era allora in Inghilterra una tesi cattolica, secondo la
quale lo spettro che si manifesta agli uomini proviene dal purgatorio; una
tesi protestante, secondo la quale proviene per lo più dall’inferno, ed è
quindi un diavolo ingannatore; ed una scettico-illuministica, che è
contenuta, in particolare, in un libro di Reginald Scott del
1584. Questo libro fu poi bruciato dalla mano del boia, in seguito ad
un provvedimento di Giacomo. Il dubbio di Amleto, nel I atto, si situa sul
terreno della concezione protestante, di cui anche Giacomo si era fatto
interprete: secondo questa tesi, lo spettro è reale, e non una mera
allucinazione di un animo malinconico. Il nesso fra Amleto e Giacomo è a
questo riguardo – cioè proprio in relazione alla premessa decisiva di
tutto lo svolgimento del dramma – addirittura tangibile, ed io non riesco
a comprendere perché J. Dover Wilson non ne parli. O dovrebbe forse
esserci un tabù anche a questo proposito?»
(C. Schmitt, Amleto o Ecuba, Bologna 1983)
E invece:
«Fu una situazione Amletica a portare
in Inghilterra la Riforma, allorché Enrico VIII chiese al papa di
invalidare la sua unione con Caterina d’Aragona la quale era stata sposata
in prime nozze al suo fratello maggiore. Ma se si esclude Amleto, sembra
che nessun altro si preoccupi molto di quell’aspetto del problema.»
(N. Frye,
Shakespeare, Torino 1990)